Confronto generazionale e sfide professionali
Confronto generazionale e sfide professionali
Quando essere attraenti per i talenti diventa competenza strategica
Ieri ho avuto un confronto davvero stimolante con uno studente dell’ultimo anno della magistrale. Uno di quelli in gamba. Abbiamo affrontato diversi temi e mi ha colpito il modo in cui lui – e probabilmente buona parte della sua generazione – vede il mondo del lavoro e dell’istruzione universitaria e post-universitaria. Mi ha confessato che sono temi di cui parlano spesso tra loro confrontando speranze e paure come è normale alla loro età.
Mi sono reso conto di quanto la prospettiva tra la mia generazione e la sua sia diversa su aspetti che, fino a ieri, davo quasi per scontati.
Provo a riassumere fornendo un quadro più ampio della nostra chiacchierata:
Idee poco chiare sul futuro
- Molti ragazzi non hanno ancora le idee precise su cosa vogliono fare “da grandi”.
- Spesso pianificano il loro percorso su orizzonti brevissimi – sei mesi, un anno – rimandando qualsiasi decisione definitiva.
- Questo porta a un senso di incertezza e di sperimentazione continua, a volte senza una direzione chiara.
Orizzonte temporale limitato
- Non c’è la prospettiva di un percorso professionale di lungo periodo, come se fosse impensabile pianificare oltre il breve termine. L’idea di iniziare in un’azienda o in uno studio e restarci per molto tempo spaventa, quasi ad imbrigliarli.
- Provano una posizione per qualche mese, poi decidono se continuare o cambiare rotta.
Le grandi società di consulenza come meta obbligata
- Pur non amandole particolarmente, le grandi società di consulenza appaiono un passaggio quasi necessario per costruire il curriculum.
- È come se fosse una “non scelta”: li attira il brand, il nome sul CV, ma al contempo temono lo sfruttamento. Temono di diventare un numero ma al contempo questo far parte della massa in qualche modo protegge.
- Posticipano così la scelta di una direzione più precisa.
Università percepita come vecchia, master e post-laurea ancora peggio
- Sentono che l’Università non riesce a stare al passo con l’innovazione reale del mercato.
- Hanno timore di perdere tempo su materie che ritengono già superate o a rischio obsolescenza.
- L’obiettivo è finire in fretta, accumulare titoli e certificazioni per costruire il CV piuttosto che approfondire e imparare davvero.
Paura di lavorare in aziende o settori maturi
- Hanno il terrore che le competenze acquisite diventino rapidamente obsolete.
- Sono molto sensibili alle trasformazioni tecnologiche e vogliono stare dove “succedono le cose, nel flusso dell’innovazione”.
- Evitano di impegnarsi a lungo in strutture che ritengono poco innovative, per non restare “bloccati”.
- Le PMI evidentemente risultano poco attrattive.
Timore di irrilevanza
- Si sentono facilmente sostituibili, con poche competenze realmente distintive.
- Hanno paura di non avere un potere contrattuale sufficiente per negoziare ruoli o retribuzioni migliori.
- Da parte mia (e di tanti colleghi) percepisco invece un’enorme domanda di giovani talentuosi, e credo che la loro forza contrattuale sia molto più alta di quanto pensino. Due percezioni differenti che probabilmente dipendono dalla scarsità sia di domanda che di offerta di qualità. E su questo è necessario interrogarsi.
Bassa soglia di attenzione e scarsa motivazione diffusa
- Sono consapevoli di due grossi limiti: scarsa concentrazione (bassa soglia dell’attenzione) e coinvolgimento limitato.
- Lo scarso coinvolgimento ed i timori espressi sembrano in parte derivanti dall’insicurezza sul futuro ed a un mercato del lavoro che cambia velocemente.
- Nel suo caso, lui è molto determinato, ma riconosce che l’approccio di molti (ovviamente non tutti) dei suoi coetanei è un problema reale.
Di fronte a questi punti, la mia riflessione è che ci sia bisogno di un vero e proprio “patto generazionale” che ricostruisca fiducia e offra prospettive concrete. Se per la mia generazione alcune dinamiche erano date per acquisite – se non la stabilità lavorativa quantomeno la linearità dei percorsi professionali – ora non è più così. Diventa fondamentale, quindi, dimostrare ai giovani che:
- Le aziende e gli studi professionali sanno innovare e restare al passo coi tempi.
- Le competenze teorico/strategiche sono più resistenti rispetto a quelle operative, che comunque possono essere aggiornate grazie a una formazione continua e realmente orientata al mercato. Formazione che sarà da ripensare perché oggi in troppi casi appare obsoleta e strutturata solo per rispondere ad obblighi normativi.
- C’è spazio per crescere e sperimentare , non solo per “fare curriculum”.
In particolare, quei famosi “primi sei mesi” diventano una prova decisiva. Se in quel lasso di tempo i ragazzi percepiscono di essere in un contesto dinamico, dove la loro voce conta e possono ampliare concretamente le loro competenze, allora è più probabile che si instauri un legame più solido.
È una sfida importante che ovviamente mette a rischio un forte investimento di tempo e risorse da parte delle imprese, ma sono convinto che valga la pena affrontarla: dalla capacità di attrarre e trattenere questi giovani, dipende in buona parte il futuro competitivo di molte aziende e studi professionali.
Tabella di Sintesi
Aspetto Principale | Descrizione/Implicazioni | Possibili Azioni |
Idee poco chiare sul futuro | Incertezza su cosa fare “da grandi”, orizzonti di pianificazione brevissimi. | Creare programmi di orientamento e mentoring fin dal periodo universitario, offrendo percorsi di crescita chiari. |
Temporale limitato | Preferiscono percorsi di 6 mesi o 1 anno, rimandando ogni decisione a dopo. | Offrire contratti flessibili, ma con prospettive di sviluppo a medio lungo termine già delineate. |
Grandi società di consulenza come “non scelta” obbligata | Le reputano utili per il CV, ma non le amano e temono di essere sfruttati. | Proporre alternative valide e altrettanto formative, mostrando piani di carriera e opportunità di apprendimento. |
Università vista come vecchia, master come obsoleti | Terrore di perdere tempo su contenuti superati, preferiscono esperienze pratiche. | Collaborazioni più forti tra università e imprese, focus su progetti concreti e aggiornamento continuo dei corsi. |
Paura di settori e aziende “maturi” | Temono l’obsolescenza delle competenze, vogliono stare laddove c’è innovazione costante. | Dimostrare la volontà di innovare (R&S, nuove tecnologie), offrendo formazione periodica e aggiornamenti continui. |
Timore di essere irrilevanti | Si sentono facilmente sostituibili e con poco potere negoziale. | Enfatizzare la centralità dei giovani talenti, offrendo ruoli di responsabilità e percorsi di carriera personalizzati. |
Bassa soglia di attenzione e scarsa motivazione diffusa | Difficoltà a concentrarsi, disinteresse dovuto a un contesto incerto e poco coinvolgente. | Implementare modalità di lavoro dinamiche, progetti sfidanti, feedback continui e un ambiente di lavoro stimolante. |
È chiaro che questa visione può essere incompleta e parziale ma devo dire che coincide con quella emersa in altre occasioni a margine delle mie lezioni.
C’è tanto da fare. Bisogna ricostruire un rapporto di fiducia che per la mia generazione era quasi scontato. Dobbiamo rassicurare i giovani sulla capacità delle aziende (o degli studi) di stare al passo con l’innovazione, di offrire competenze attuali e di saperli accompagnare nella crescita.
Tutto sembrerebbe giocarsi nella “prova” dei primi sei mesi: se si riesce a far capire di essere davvero attenti a questi aspetti, allora si può costruire un percorso più solido. È una sfida non facile per organizzazioni di piccole dimensioni (che mette a rischio un notevole investimento in termini di risorse e tempo dedicato a formare).