Damodaran: la valutazione d’azienda e l’intelligenza artificiale
Damodaran: la valutazione d’azienda e l’intelligenza artificiale
Le opportunità (e le insidie) insite nell’uso (e abuso) dei dati
Proviamo a sintetizzare la posizione del professor Aswath Damodaran in merito alle potenzialità e ai limiti dei dati nel processo decisionale, con particolare riferimento agli ambiti della finanza aziendale e degli investimenti. L’obiettivo è fornire una visione complessiva dei punti centrali sollevati da Damodaran, evidenziando sia le opportunità che le insidie insite nell’uso (e abuso) dei dati.
L’era dei dati
La nostra epoca è caratterizzata da un’abbondanza di dati, che vengono raccolti e analizzati con l’aiuto di tecnologie sempre più sofisticate. Intelligenza artificiale, machine learning e big data analytics stanno trasformando sia le imprese sia i mercati dei capitali, creando aspettative molto elevate sulle possibilità di trarre informazioni decisive ai fini strategici. Nel panorama attuale, molte organizzazioni si dichiarano “data-driven”, vale a dire basano le proprie scelte su analisi numeriche anziché su mere intuizioni o esperienze pregresse.
Secondo Damodaran, pur riconoscendo l’importanza di dati solidi e dell’analisi quantitativa, occorre evitare di ritenere che “i dati contengano tutte le risposte”. I dati, infatti, possono guidare verso decisioni migliori, ma non sostituiscono la capacità di interpretare in modo critico la realtà, tenendo conto della complessità dei fattori qualitativi e di eventuali pregiudizi (bias) nell’elaborazione dei numeri.
I due ambiti principali di utilizzo dei dati
Damodaran rileva due ambiti principali in cui l’utilizzo dei dati risulta estremamente prezioso:
- Affermazioni di fact-checking
- Con l’avvento dei social media, le affermazioni – anche quelle più controverse o prive di fondamento – raggiungono un pubblico enorme. Nel contesto della finanza aziendale e degli investimenti, è frequente imbattersi in dichiarazioni di politici, economisti o sedicenti esperti di mercato che non trovano riscontro nella realtà.
- I dati, se correttamente analizzati, diventano lo strumento più efficace per distinguere le tesi attendibili dalle pure “leggende” finanziarie. Per esempio, attraverso dati storici sulle performance di determinati settori o analisi sulle dinamiche di mercato, è possibile smentire (o confermare) un’ipotesi e contribuire a un dibattito più solido e informato.
- La gestione del “rumore” nelle previsioni
- Chi formula previsioni, soprattutto se si tratta di esperti con un solido background accademico o professionale, spesso tende a nascondere l’incertezza insita nelle analisi per non apparire vulnerabile.
- Damodaran sottolinea che riconoscere l’esistenza di errori e intervalli di confidenza nelle previsioni non è segno di debolezza, bensì di onestà intellettuale. I dati, infatti, sono inevitabilmente soggetti a rumor, ovvero fluttuazioni casuali e imprecisioni che rendono quasi impossibile una predizione perfetta del futuro.
- Ammettere tale incertezza può anche spingere gli investitori a non agire prontamente in base a un singolo forecast, ma a valutare eventuali piani di contingenza.
I rischi connessi all’uso (e all’abuso) dei dati
Malgrado i vantaggi offerti dall’analisi quantitativa, Damodaran mette in guardia da due insidie specifiche:
- Possibili distorsioni dei dati
- Esiste un’idea piuttosto diffusa che i dati, specialmente se numerici, siano di per sé oggettivi e neutri.
- In realtà, la selezione e l’interpretazione dei dati sono operazioni spesso condizionate dai bias dell’analista o dalla volontà di sostenere una tesi precostituita. Un esempio comune è la scelta di periodi di riferimento particolarmente favorevoli a supportare una conclusione (cosiddetto cherry picking).
- Ne consegue che i dati, nelle mani di analisti poco trasparenti o spinti da interessi particolari, possono essere presentati in modo distorto, minando la validità delle decisioni che ne derivano.
- Passato vs futuro
- Gli investitori e le imprese spesso formulano strategie basandosi su parametri storici: multipli di mercato, premi per il rischio azionario, rapporti tra debito e capitale proprio, e così via.
- Damodaran ricorda che il passato non è sempre indicativo del futuro. Nella prassi, ogni documento di offerta al pubblico reca la dicitura “i rendimenti passati non sono garanzia di risultati futuri”. Eppure, la tendenza all’utilizzo di medie storiche come base previsionale rimane molto forte.
- Se da un lato l’analisi storica rappresenta un punto di partenza utile, dall’altro è fondamentale comprendere che i cicli di mercato non si ripetono in modo identico. Per questo, strategie come la mean reversion rischiano di mostrare i propri limiti in contesti macroeconomici nuovi o in presenza di shock di mercato (si veda per esempio la crisi finanziaria del 2008 o la crisi pandemica del 2020).
Riflessioni conclusive e implicazioni pratiche
In ultima analisi, il messaggio di Damodaran può essere riassunto in un invito alla moderazione e al buon senso. I dati sono preziosi e possono contribuire a elevare la qualità dei processi decisionali, a patto che vengano:
- Verificati con attenzione – Le fonti, i metodi di raccolta e i criteri di selezione dei dati devono essere noti e, possibilmente, condivisi in modo trasparente.
- Interpretati in maniera critica – L’analisi statistica deve essere accompagnata da un giudizio esperto e da una profonda comprensione del contesto di riferimento, evitando di trarre conclusioni affrettate.
- Accompagnati da un’adeguata valutazione del rischio – L’incertezza è parte integrante di ogni previsione: dichiararla apertamente e preparare strategie di contingency planning è un segno di maturità professionale.
- Inseriti in un orizzonte strategico consapevole – Proiettare il passato sul futuro senza considerare le dinamiche dei mercati e i potenziali cambiamenti strutturali può rivelarsi estremamente rischioso.
Per imprese e investitori, ciò significa integrare l’analisi quantitativa con una solida comprensione qualitativa delle forze di mercato, dei comportamenti umani e dei vincoli normativi. A livello operativo, alcuni suggerimenti di best practice includono:
- Validare i propri modelli attraverso stress test e scenari “what-if”, sia per valutare la sensibilità dei risultati a variazioni nelle ipotesi di base, sia per cogliere la natura probabilistica di alcune variabili.
- Pianificare diverse opzioni strategiche: definire piani di riserva e meccanismi di flessibilità, da attivare qualora la realtà sconfessi le previsioni.
- Fare ricorso a consulenti indipendenti e specialisti di settore, in grado di fornire prospettive diverse e di garantire una revisione critica delle assunzioni utilizzate nell’analisi dei dati.
Conclusioni
In conclusione, la prospettiva di Damodaran sulla centralità dei dati risulta equilibrata e fortemente attuale. Da un lato, è indiscutibile che l’analisi quantitativa – supportata da strumenti avanzati – offra opportunità di migliorare il processo decisionale in modo più informato e rigoroso. Dall’altro lato, è essenziale riconoscere che i dati non costituiscono una verità assoluta, bensì un elemento che dev’essere contestualizzato, validato e valutato criticamente.
In un ecosistema finanziario sempre più interconnesso, l’abilità di distinguere le informazioni rilevanti dal “rumore” e di accettare l’incertezza previsionale rappresenta un requisito fondamentale per chiunque operi a livello strategico, sia nel mondo degli investimenti, sia in ambito aziendale. È proprio in questo equilibrio tra utilizzo attento dei dati e prudenza analitica che risiede la chiave per evitare il fascino illusorio di una “verità numerica” assoluta, tutelando così il processo decisionale da potenziali errori e distorsioni.